Queste pronunce risultano dunque ancora attuali tenuto conto delle prassi che tuttora si riscontrano negli hotspot e nelle strutture informali che si moltiplicano in Sicilia e in Calabria.
Con tre diverse sentenze rese nei casi A.B. c. Italia, A.M. c. Italia e A. S. c. Italia, pubblicate il 19 ottobre, la Corte Europea per i Diritti Umani (Corte EDU) ha nuovamente riconosciuto la violazione dell’art. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e dell’art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione Europea dei Diritti Umani e condannato l’Italia in relazione alle condizioni di trattenimento subite da alcuni cittadini stranieri nell’Hotspot di Lampedusa in un periodo di tempo compreso tra il 2017 e il 2019.
La violazione delle medesime norme era già stata riconosciuta dalla Corte EDU nella sentenza J.A. contro Italia relativa a quattro cittadini tunisini informalmente trattenuti nel centro di Lampedusa per dieci giorni alla fine del 2017. Il Governo italiano non aveva presentato ricorso e a giugno di quest’anno la sentenza è divenuta definitiva.
Le sentenze riguardano fatti che risalgono a periodi successivi a quelli di cui ai casi J.A. c. Italia (2017) e Khlaifia c. Italia (2011), confermando la sistematicità delle violazioni, nonostante le ripetute denunce e la condanna nel caso Khlaifia da parte della stessa Corte EDU.
Nei casi A.B. c. Italia e A.M. c. Italia, la Corte ha descritto con chiarezza alcuni degli abusi e le violazioni che sistematicamente posti in essere nei confronti dei cittadini stranieri alla frontiera: la compilazione sommaria del foglio notizie, la completa assenza di informazioni, le condizioni dell’hotspot, la violenza subita durante le operazioni di rimpatrio e anche le difficoltà di accesso alle procedure di asilo. Uno dei ricorrenti per esempio era stato trattenuto nel centro di Lampedusa in due distinte occasioni, per 22 giorni nel 2017 e 17 giorni nella primavera del 2018, quando l’hotspot è stato poi chiuso dopo essere stato dato alle fiamme.
Nel caso A. S. c. Italia, riguardante un giovane cittadino tunisino sopravvissuto ad un naufragio e trattenuto presso l’hotspot di Lampedusa da 7 al 25 ottobre 2018, la Corte si sofferma nuovamente sul sovraffollamento della struttura e sulle condizioni igienico sanitarie dell’hotspot, rese evidenti anche attraverso la produzione di diversi rapporti di denuncia presentati da organizzazioni non governative e dal Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, respingendo le osservazioni preliminari del Governo italiano.
“Sebbene oggi i trasferimenti delle persone straniere dall’isola siano più rapidi e il loro trattenimento abbia una durata inferiore a seguito delle misure messe in atto a partire dal giugno 2023 dal Governo che ha attivato lo stato di emergenza, permangono le gravissime condizioni di disagio e sovraffollamento che ancora caratterizzano la vita nell’hotspot“.
Queste pronunce risultano dunque ancora attuali tenuto conto delle prassi che tuttora si riscontrano negli hotspot e nelle strutture informali che si moltiplicano in Sicilia e in Calabria.
“Queste decisioni, inoltre, dimostrano chiaramente l’importanza dei monitoraggi effettuati dalle autorità di garanzia indipendenti e l’incisività della collaborazione tra avvocati, organizzazioni non governative e attivisti/e . Sinergie che permettono di portare all’attenzione della Corte situazioni individuali che, vista la difficoltà di accedere alle strutture detentive, rimangono troppo spesso prive di adeguata tutela“.
Si ringrazia per la collaborazione il progetto Rule 39 Initiative della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili CILD)
Foto di Ron Dauphin su Unsplash